Stiamo parlando tanto di parole e, conseguentemente, di dialogo.
Per quanto ci impegniamo, tuttavia, non è sempre facile riuscire a "fare attraversare" alle parole quel mare
sconfinato che sembra ci separi uno dall’altro.
Può capitare anzi che, pur nell'impegno dell'andarci incontro, cercando una buona qualità di dialogo
e di comprensione reciproca andiamo a scoprire che l'atto del comunicare non è poi così semplice
o istantaneo ma che richiede una buona dose di impegno, rischiando in questo modo di diventare un "gesto"
un po' faticoso.
Un "gesto" che non dà risultati o magari non dà i risultati sperati:
pur continuando a parlare con l'intento di
comunicare qualcosa di importante è come se si continuasse a ragionare ognuno per sé, come se ogni
persona che partecipi al dialogo costituisca un mondo a se stante che non
si apre mai al mondo con il
quale sta interagendo.
Capita, questo, sia quando è l'altro a rimanere un mondo a se stante ma anche quando lo siamo noi... E' che si fa
sempre prima a guardare l'altro che non noi stessi, ma quando il parlare, il dialogare, non da i
risultati sperati non è poi così difficile che la questione riguardi entrambe le parti in gioco.
L’abitudine nella vita conta più di quanto pensiamo, e può avere un suo ruolo anche nel momento in cui comunichiamo.
L’abitudine a considerare la persona con cui ci stiamo relazionando, ad esempio, non tanto per ciò che ci sta
portando, attraverso tutto il suo essere, tutta la sua esperienza, ma in base a ciò che rappresenta.